Il pescatore
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12 – Il pescatore
Tra i mestieri del Presepe napoletano il pescatore è uno di quelli che riveste una valenza positiva e confortante. Il pescatore comunica un senso di serenità e sollievo, sia esso seduto in riva al fiume, con la canna tra le mani e la lenza gettata nell’acqua, o nella piazza del mercato, accanto al banco del pesce.
Il pescatore rappresenta la vita, e lo si capisce dal suo aspetto un po’ trasandato, ma colorato, vivace.
Il pescatore richiama San Pietro, diventato “pescatore di anime” per volere di Gesù in seguito alla sua morte, e più in generale la simbologia del pesce usata dai primi cristiani al tempo delle persecuzioni romane (quindi il riferimento a Gesù).
Il Censimento
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11 - Censimento
Con le fonti storiche a nostra disposizione non è possibile trovare una soluzione definitiva ai problemi storici posti dal censimento che venne effettuato durante la nascita di Gesù.
Il giuramento di fedeltà chiesto da Cesare Augusto ai sudditi di Erode nel 7 a.C. potrebbe spiegare il viaggio di Giuseppe e Maria a Betlemme prima della nascita di Gesù.
L'evangelista Luca avrebbe unito nel suo racconto il censimento universale dei cittadini romani (8 a.C.) con la registrazione dei sudditi avvenuta per il giuramento di fedeltà degli Ebrei.
La possibile presenza in Siria di Quirinio può aver reso possibile il suo incarico governativo per la realizzazione del giuramento di fedeltà chiesto da Cesare Augusto.
Nel Vangelo di Luca si legge: “Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria” (Lc 2,2).
Sappiamo che Augusto, che regnò dal 31 a.C. al 14 d.C., fece diversi censimenti, e alcuni ben prima della nascita del Signore. Da questo emerge un dato certo: Gesù è nato nel tempo in cui Quirinio era governatore in Siria.
Secondo Marco Sales al tempo di Quirinio vi sarebbero stati due censimenti.
Durante il primo avvenne la nascita del Signore.
Il secondo censimento avvenne alcuni anni dopo e sarebbe da identificare con il censimento di cui parla San Luca negli Atti degli Apostoli 5,37. Questo secondo censimento avvenne il 6 d.C. e secondo Giuseppe Flavio provocò una grande rivolta in Galilea (cfr. Antichità Giudaiche 18,1.
Padre Marie-Joseph Lagrange propone una traduzione diversa di quell’aggettivo “primo” riferito al censimento. Al posto di “primo” scriverebbe “anteriore” e dice: “Questo punto non è ancora completamente delucidato e secondo noi il testo dovrebbe essere tradotto così: <<Questo censimento fu anteriore a quello che ebbe luogo al tempo in cui Quirinio era governatore della Siria>>”.
In tal modo non vi sarebbe alcuna difficoltà. È certo che Quirinio fece eseguire il censimento della Giudea nel momento in cui essa, nell’anno 6-7 d.C., fu incorporata alla provincia della Siria, pur conservando magistrato proprio col titolo di procuratore. Questo censimento, che consacrava il dominio di padroni e adoratori di falsi dei, diede luogo ad una terribile sommossa religiosa e restò celebre. Per evitare qualsiasi confusione San Luca avrebbe distinto un censimento generale da questo censimento speciale di aggregazione all’impero” (L’Evangelo di Gesù Cristo, p. 31).
La Bibbia di Gerusalemme nell’edizione italiana taglia alcune parti delle note dell’edizione francese.
A questo proposito, nel testo francese si legge: “Le circostanze storiche sono oscure. La maggioranza dei critici mette il censimento di Quirino il 6 d.C., ma sulla sola autorità di Giuseppe Flavio, qui molto discutibile (cfr. At 5,37).
Più verosimilmente questo censimento (fatto in vista della ripartizione delle imposte) ebbe luogo verso l’8-6 a.C., in relazione con un censimento generale dell’impero, e che fu organizzato in Palestina da Quirinio incaricato per questo di una missione speciale.
Essendo stato questo personaggio senza dubbio il governatore della Siria tra il 4 e l’1 a.C., l’espressione di Luca si spiega con un’approssimazione sufficiente.
Gesù certamente è nato prima della morte di Erode (4 a.C.). E la datazione dell’era cristiana nel 753 a.C. è frutto di un errore di Dionigi il piccolo (VI secolo)”.
L’approssimazione sufficiente è chiara: vuol dire che all’incirca è andata così, in quegli anni.
Pertanto, secondo la versione originale della Bibbia di Gerusalemme i conti tornerebbero, tanto più che è certo che Gesù nacque quando Quirinio è stato governatore della Siria tra il 4 e l’1 a.C.
(Fonte: Padre Angelo Bellon).
I Re Magi
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10 - I re magi
I re magi rappresentano il viaggio notturno della stella cometa che si congiunge con la nascita del nuovo “sole-bambino”. In questo senso va interpretata la tradizione cristiana secondo la quale essi si mossero da oriente, che è il punto di partenza del sole, come è chiaro anche dall'immagine del crepuscolo che si scorge tra le volte degli edifici arabi.
Il vangelo di Matteo è la base dove vengono menzionati i saggi che portano oro, incenso e mirra. I nomi Gaspare, Melchiorre e Baldassarre apparvero solo alla fine del IX secolo e si ritrovano nel vangelo armeno dell’infanzia. Tutti e tre sono interpretati e considerati come re, maghi, saggi, astrologi o scienziati che rappresentano i continenti conosciuti all'epoca, Africa, Asia ed Europa.
Il numero tre – altamente simbolico nella Scrittura – può essersi affermato in riferimento ai Magi per affermare che tutto il mondo aveva reso omaggio al Salvatore. Tre era infatti anche il numero dei continenti allora conosciuti. La presenza di un magio di colore completerebbe questo simbolismo, facendo riferimento alle popolazioni africane. Oppure potrebbe essere una deduzione dal numero dei doni: oro, incenso e mirra. Anche questo dal profondo significato simbolico: l'oro per la regalità di Cristo, l'incenso per la divinità e la mirra con riferimento alla morte di Gesù.
Il giovane Gaspare dalla pelle scura con un elefante simboleggia la popolazione Africana e viene raffigurato portando un vaso celtico simile a un calice pieno di mirra. Il sapore amaro della mirra dovrebbe illustrare la successiva sofferenza e morte di Gesù Cristo. Melchiorre è un vecchio a cavallo con una lunga barba che rappresenta il continente europeo; porta l'oro, che dovrebbe incarnare ricchezza, saggezza, potere e bellezza. Baldassarre con il cammello invece appare come un uomo di mezza età e rappresenta il continente asiatico. Consegna un vaso con l'incenso, che sta per preghiere e sacrifici.
Tuttavia a volte, il portatore d’oro è un persiano, quello che porta l’incenso è un arabo meridionale e il re che dona la mirra un etiope, simboleggiando quindi le tre grandi aree geografiche del mondo che allora era conosciuto, ossia Europa, Asia e Africa ma anche troviamo Baldassarre (vecchio) che cavalca un cavallo nero, Gasparre (giovane) che monta un cavallo bianco e Melchiorre (moro) in groppa ad un cavallo fulvo (i tre cavalli, assieme ai Magi simboleggiano i tre momenti della giornata ossia la notte, il mezzogiorno e l’alba).
Rappresentano il mondo e il tempo che si fermano per la nascita di Gesù.
L'osteria
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9 - L’osteria
L’osteria è un luogo ricco di complessi significati che riconduce in primo luogo alla pericolosità del viaggio e della notte. Essa si riferisce all’episodio di Maria e Giuseppe che, durante il loro cammino, non trovano alloggio, ma si associa anche il significato rituale del mangiare, riferimento alla vita materiale contrapposta a quella spirituale e, non a caso, l’osteria è posta accanto alla grotta, a simboleggiare l’eterna lotta tra il bene e il male. Al tempo della creazione del presepe napoletano, nel XVIII sec., questi luoghi erano ricettacoli di prostituzione e affari illegali, per questo motivo la locanda rappresenta i peccati degli uomini. È l’incarnazione stessa del peccato e del diavolo che si presenta agli uomini sotto false spoglie: il suo fine è quello di attirarli verso il male senza che questi ne abbiano coscienza e di manifestarsi solamente a fatto avvenuto. Il diavolo-oste attira gli avventori nell’osteria e lì, tra l’ebbrezza del vino e del cibo, impedisce agli uomini di accorgersi che poco lontano sta venendo alla luce il Figlio di Dio. È anche riferimento alla gioia delle nozze di Cana, ma pure presagio del tradimento di Gesù. La locanda abbonda di vivande da consumare durante il pranzo di Natale, che è in realtà un banchetto funebre, visto che si seppellisce il tempo che muore prima di rinascere. Secondo i Vangeli, quando Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme chiesero ospitalità in parecchie locande e taverne, ma vennero scacciati in malo modo.
La zingara ha un significato particolare: è allegoria della profezia incarnata dalle Sibille nelle sacre rappresentazioni di un tempo. Secondo la leggenda una sibilla aveva predetto la nascita di Cristo. La zingara del Presepe ha tra le mani dei chiodi che indicano il futuro del piccolo nascituro: la Crocifissione. Un personaggio negativo quindi? Non proprio se consideriamo che è proprio nel supplizio della croce che si realizza la salvezza offerta da Gesù.
Al tempo della creazione del presepe napoletano, nel XVIII sec., questi luoghi erano ricettacoli di prostituzione e affari illegali, per questo motivo la locanda rappresenta i peccati degli uomini.
Il vinaio o l’oste è un personaggio che ovviamente costituisce un riferimento al sacramento dell’Eucarestia.
Il pescatore è posto nella parte alta del corso d’acqua con la canna da pesca in mano oppure senza canna, vicino al banco del pesce per la vendita del pescato: rappresenta la vita.
Lo troviamo quindi spesso vicino al fiume, col torace visibile attraverso una camicia aperta e i pantaloni arrotolati fin sotto al ginocchio, per non bagnarsi. Accanto a sé c’è l’immancabile banco del pesce (a volte ha anche la canna da pesca).
Il pescatore richiama San Pietro, diventato “pescatore di anime” per volere di Gesù in seguito alla sua morte, e più in generale la simbologia del pesce usata dai primi cristiani al tempo delle persecuzioni romane (quindi il riferimento a Gesù).
I venditori di cibo
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8 – I venditori di cibo
I venditori di cibo nel presepe sono dodici, perché sono l’allegoria dei dodici mesi dell’anno.
Gennaio: macellaio o salumiere;
Febbraio: venditore di ricotta e di formaggio;
Marzo: pollivendolo e venditore di altri uccelli;
Aprile: venditore di uova;
Maggio: coppia di sposi con cesto di ciliegie e di frutta;
Giugno: panettiere;
Luglio: venditore di pomodori;
Agosto: venditore di anguria;
Settembre: venditore di fichi o seminatore;
Ottobre: vinaio o cacciatore;
Novembre: venditore di castagne;
Dicembre: pescivendolo o pescatore.
Nel nostro presepe vivente, che quest’anno è alla sua seconda edizione, abbiamo rappresentato soltanto alcuni dei venditori: salumiere, frutta e verdura, fornaio, il venditore di castagne e il pescatore.
La palma
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7 – La palma
La palma è l’immagine dell’Albero della Vita, pianta misteriosa che Dio aveva creato nel giardino dell’Eden, accanto all’albero della conoscenza del bene e del male. Era considerata l’albero della pace, dell’abbondanza e della vittoria, tipica dell’area culturale medio-orientale. Tale simbolismo sarà poi ripreso con l’ingresso di Gesù in Gerusalemme su un tappeto di foglie di palma.
Pane
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6 - Pane
Il pane, uno degli alimenti fondamentali dell’uomo, sazia la nostra fame e ci dà energia. Dobbiamo quindi considerarlo come una necessità vitale.
Secondo la mitologia greca fu Demetra, dea delle messi, – Cerere per i Romani – a donare all’uomo i cereali, in particolare il frumento da cui appunto si ricava la farina per panificare. Da sempre il pane ha avuto una sacralità che nel mondo greco prima e romano poi era legato alla fecondità della terra.
Il pane, per gli ebrei, aveva un valore sacro e trascendente, e un significato particolare aveva il pane azzimo, che mangiavano durante la Pasqua. Gli Ebrei erano stati schiavi in Egitto, e come si narra nel libro dell’Esodo, erano fuggiti da quel paese in cerca di una nuova terra, guidati da Mosè. Prima di intraprendere il viaggio che li avrebbe condotti fino alla terra promessa, la Palestina, non avevano avuto il tempo di far lievitare il pane secondo l’uso egizio: così avevano mangiato focacce azzime, cioè fatte di pasta non lievitata. In ricordo del pane mangiato durante l’esodo dall’Egitto, per tutta la settimana di Pasqua, non mangiavano (e non mangiano ancora oggi) pane lievitato. Il pane azzimo costituisce anche un richiamo all’umiltà davanti a Dio, perché il lievito fa gonfiare la pasta come l’orgoglio fa gonfiare il cuore dell’uomo.
Nel Nuovo Testamento il pane, il grano ed il lievito ricorrono spesso. Gesù infatti vi fa più volte riferimento nelle sue parabole, né si deve dimenticare che uno dei suoi miracoli fu proprio quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci. I cristiani ricordano che Gesù nell’ultima cena prese il pane, lo spezzò, lo diede ai discepoli dicendo: “prendete e mangiate: questo è il mio corpo” Mt 26,26).
Nella liturgia cristiana si celebra la trasformazione del pane nel Corpo di Cristo: è simbolo della divinizzazione di tutte le cose e dell’intera vita umana.
Il pane è ancora segno di ospitalità e di condivisione. Mangiare il pane regolarmente con qualcuno significa essere suo amico, godere della sua intimità (Gv. 13,18). Il pane unisce, ci fa compagni di viaggio (dal latino cum panis: compagno è colui con il quale si condivide il pane). “Spezzare il pane” significava pranzare, ma spesso nella Bibbia significava celebrare insieme l’Eucaristia, cioè la Cena del Signore (At 2,42). L’Apostolo Paolo attribuisce un forte significato al pane eucaristico: “il pane che spezziamo ci mette in comunione con il corpo di Cristo. Vi è un solo pane e quindi formiamo un solo corpo, perché tutti mangiamo quell’unico Pane”.
Il pane che viene cotto nel forno è un chiaro riferimento a Cristo, definito il pane della vita, ma è anche il pane materiale che è stato cotto tra le fiamme, simbolo del fuoco dell’inferno, che sostituisce quello spirituale e sazia il corpo senza nutrire l’anima.
In molte culture il fuoco indica qualcosa di sacro. Mentre l’acqua sgorga dalla terra, il fuoco viene dal cielo. Il fuoco è qualcosa di divino. Il fuoco riscalda, protegge, illumina, raffina e quindi trasforma… ma anche divora, distrugge.
Il fuoco è da sempre stato usato per consumare le offerte agli dei; è quindi diventato il segno della presenza di Dio, che riscalda, illumina e protegge.
Nell’ebraismo il fuoco è sempre manifestazione di Dio: il roveto ardente di Mosè, la colonna di fuoco che guida gli israeliti nel deserto, il fuoco di Elia.
Nel cristianesimo il fuoco è il simbolo dello Spirito Santo, fuoco di Pentecoste. Dio è il fuoco che annienta il potere delle tenebre e rinnova l’umanità.
Acqua
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5 - L’acqua
L’acqua è un elemento essenziale: disseta e vivifica, serve per lavarsi e per rinfrescarsi. Ma può anche distruggere e creare caos.
In tutte le religioni l’acqua riveste un significato fondamentale.
Nell’islamismo l’acqua è dispensatrice di vita e sostentamento di vita. È all’origine di tutti gli esseri viventi sulla terra, la sostanza con cui Allah ha creato l’uomo. La scarsità di acqua nel mondo islamico e il valore sociale dato ad essa si riflettono sull’idea di paradiso data dal Corano: “E annuncia a coloro che credono e compiono il bene, che avranno i Giardini in cui scorrono i ruscelli” (Corano 2,25). Ecco perché nell’islam un pozzo all’interno di un muro quadrato rappresenta il Paradiso.
Nell’ebraismo l’acqua è una presenza costante nei testi della tradizione ebraica. Il racconto della creazione ci mostra come l’acqua esistesse ancora prima della creazione stessa, già quando “lo Spirito del Signore aleggiava sulle acque”. È l’elemento di origine di tutte le altre cose. La si trova pure nel racconto del diluvio universale, come acqua purificatrice mandata da Dio per risistemare le cose del mondo. Realizza una sorta di ritorno al caos che già esisteva prima della creazione; può essere però intesa come un’acqua di purificazione di quel mondo che aveva preso una strada diversa da quella proposta da Dio.
Nel cristianesimo l’acqua assuma un triplice significato.
L’acqua evoca innanzitutto l’origine di ogni fonte di vita. Nelle favole ricorre l’immagine dell’acqua della vita che risana le ferite e fa vivere per sempre. Sorgenti e pozzi sono luoghi sacri in tutte le culture: le persone s’incontrano al pozzo. Presso un pozzo Gesù incontra la Samaritana e le parla dell’acqua che lui stesso le darà: chi berrà di quell’acqua “non avrà mai più sete; anzi l’acqua, che io gli darò, diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14). La nostra sete più profonda è sete d’amore, di un amore che non si esaurisce mai, perché viene alimentato da una sorgente che non si estingue mai.
Il fiume è il segno del tempo che passa, il simbolo del ciclo vitale della nascita e della morte, dell’esistenza che scorre. Rappresenta la linea di confine tra il mondo dei vivi e quello dei trapassati, ma è anche il luogo nel quale chi vi si immerge ne esce purificato e rigenerato.
Nei pressi del fiume troviamo anche il pescatore e il cacciatore, che rappresentano i mestieri attraverso i quali l’uomo si è sfamato all’inizio della sua storia.
Presso il fiume troviamo la lavandaia intenta a lavare i panni in ginocchio. Nel Presepe napoletano le lavandaie rappresentano le levatrici che, secondo il protovangelo di Giacomo, hanno assistito alla nascita di Gesù e hanno prestato aiuto alla Madonna. I teli che hanno usato per pulire il Bambinello sono miracolosamente puliti e immacolati, a simboleggiare la verginità di Maria e l’origine miracolosa di Suo Figlio.
Le scene in cui si colloca la fontana sono rappresentazioni magiche, relative alle acque che provengono dal sottosuolo e la donna alla fontana è attinente alla figura della Madonna che, secondo alcune tradizioni, avrebbe ricevuto l’annuncio della maternità mentre attingeva acqua alla fonte. Il vangelo dello pseudo-Tommaso riporta: “Il giorno dopo, mentre Maria stava presso la fonte a riempire la brocca, le apparve un angelo del Signore e le disse –Beata tu sei o Maria, perché nel tuo ventre hai preparato un’abitazione al Signore”.
Nei racconti popolari campani è sempre vicino alle fontane che avvengono gli incontri amorosi e le apparizioni fantastiche.
Il pozzo rappresenta il collegamento tra la superficie e le acque sotterranee. Rappresenta il punto di unione tra la Terra e le acque sotterranee, il pozzo è associato alla Madonna.
Durante la notte di Natale, dal pozzo possono venir fuori gli spiriti maligni, perché è il momento in cui il Male si scatena prima della nascita del Bene. È quindi un simbolo che rappresenta per alcuni la bocca dell’Inferno, per altri semplicemente l’oscurità in cui ogni uomo può cadere nonostante la salvezza offerta da Dio. Rappresenta il collegamento tra la superficie e le acque sotterranee, di conseguenza ancora un legame tra il mondo dei vivi e quello dei morti. In esso si tufferà la cometa dopo aver soddisfatto il compito di accompagnatrice dei Magi.
Pastori
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4 - Pastori
I pastori possono avere un duplice significato: da un lato, specie secondo alcuni passi della letteratura ebraica, sono persone che vivono di espedienti, degli imbroglioni finiti ai margini della società; dall’altro, se guardiamo all’Antico Testamento, vediamo che molti patriarchi della storia di Israele sono pastori (ad esempio Mosè e Abramo).
Vi si può anche cogliere un riferimento all’espressione “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla” che ritroviamo nel Salmo 22. Dio stesso, dice il salmo 23, è il pastore che ci conduce al buon pascolo.
Comunque li si voglia inquadrare, non c’è dubbio che i pastori rappresentino la povertà e l’umiltà. E se anche fossero almeno in parte dei poco di buono, allora concorrono doppiamente a creare le condizioni estremamente disperate in cui Dio ha scelto di far venire al mondo suo figlio (ricordiamo anche i due ladroni al fianco dei quali Cristo verrà poi crocifisso), nella promessa della redenzione dai peccati.
Non dimentichiamo infine che, come vegliano sul loro gregge di giorno e di notte, essi rappresentano anche dei protettori.
Nel Vangelo l’annuncio dell’angelo ai pastori suona a conforto per tutte le persone che disprezzano se stesse. Proprio per loro si apre il cielo e gli angeli di Dio le attorniano con il loro splendore e il loro tenero amore. Per loro è nato il Redentore.
In molte culture il pastore è immagine di una figura paterna prudente e premurosa. I pastori vegliano, confidano nella notte, proteggono le loro pecore da leoni e lupi. Proteggere è un atto materno. Pertanto il pastore è simbolo di protezione materna, di custodia e amorevolezza.
Pastori e Pecore rappresentano il “gregge” dei fedeli che incontra Dio grazie alla guida avveduta dei pastori.
Il pastore era il solo e unico responsabile del gregge di pecore. Al mattino ognuno chiamava a sé le proprie bestie, che, riconoscendone la voce, lo seguivano e camminavano dietro di lui. Portava con sé una coperta per dormire all’aperto, una bisaccia con del cibo e un bastone per difendersi dall’assalto degli animali selvatici.
Anche Gesù si narra come un pastore, che ama le sue pecore e che chiama una ad una; non fugge davanti al lupo, ma le difende sino a dare per loro la vita.
Ecco perché il Buon Pastore nel presepe viene spesso rappresentato con la pecorella sulle spalle, quasi come fosse un figlio.
È particolarmente interessante che siano raffigurati pastori di età diverse: bambini, adolescenti, di mezza età ed anziani. Simboleggiano i diversi gruppi sociali che hanno vissuto la Notte Santa.
Oltre ai comuni pastori, nel presepe napoletano c’è un pastore speciale. Si tratta di Benino, il pastorello che dorme. Egli è quasi sempre il primo personaggio che lo sguardo incontra osservando la composizione presepiale, si trova infatti posizionato all’inizio della prima discesa, a volte non si vede perché si trova sotto a un mucchio di paglia.
Egli rappresenta l’aspetto onirico ed esoterico legato al presepe (per questo viene anche chiamato “pastore della meraviglia”) e richiama l’attesa del Natale.
Benino, posizionato generalmente in un angolino, è, probabilmente, la figura più importante di tutto il presepe. La leggenda vuole che l’intera rappresentazione sia, in realtà, un sogno di questo pastorello dormiente che sta sognando il presepe e che non si deve svegliare, perché, altrimenti, di colpo il presepe sparirebbe. Una realtà messa in scena anche nella “Cantata dei Pastori”, quando Benino si sveglia e racconta di aver sognato la nascita del Bambin Gesù. Sarebbe, quindi, lui stesso, attraverso il sogno che sta facendo mentre dorme, a dar vita all’intera scena del presepe napoletano, dove convivono elementi che altrimenti sarebbero incompatibili.
La sua posizione esatta sarebbe, perciò, in cima al presepe dal momento che da lui dovrebbe discendere ogni personaggio ed ogni luogo allegorico mostrato. Su un piano più simbolico, invece, rappresenta l’intera umanità, dormiente e pigra di fronte al divino. La nostra specie è in grado di avvicinarsi all’eternità solo nei sogni, quando è inconsapevole e libera dagli schemi logici che la vincolano.
L’interpretazione religiosa afferma, invece, che il pastore dormiente rappresenta il percorso di vita di ognuno di noi. Il sonno è la rappresentazione della nascita, l’inconsapevolezza, l’incertezza della vita. Mentre dorme, il pastore sogna l’annuncio dell’arrivo di Dio, che rappresenta la speranza, la presa di coscienza che la vita terrena non è eterna e che dopo la vita viene la morte. Quindi il risveglio rappresenta il passaggio tra la vita terrena e la vita eterna.
Benino simboleggia l’attesa del Natale, il cammino di ogni uomo verso questo evento miracoloso e unico.
Quel che è certo è che si tratta un riferimento a quanto affermato nelle sacre scritture: “E gli angeli diedero l’annunzio ai pastori dormienti”.
Il risveglio del pastore dormiente, che nel presepe è rappresentato dal pastore meravigliato alla vista della nascita di Gesù, rappresenta la conferma dell’esistenza di Dio e quindi della vita eterna. Il Pastore della Meraviglia posizionato in prossimità della Grotta, ha le braccia e la bocca spalancate perché assiste con stupore alla nascita di Gesù. In lui c’è tutta la meraviglia della scoperta del divino, l’incontenibile sorpresa dell’uomo che viene in contatto con qualcosa di immenso. Per alcuni sarebbe lo stesso Benino ‘risvegliato’ nel suo stesso sogno.
Il pastore con la lanterna è il simbolo dell’umanità che cerca nella notte una luce per la propria vita, la luce della fede.
Nell’anno 7 a.C. vi fu una vistosa congiunzione dei due astri Saturno e Giove nella costellazione dei pesci e, secondo una interpretazione di Keplero, fu il segno della nascita di un re; a Roma questo segno astronomico eccezionale fu interpretato come figura della pace imperiale di Augusto; a Babilonia è probabile che questa figura stellare fosse vista come segno della venuta del Messia.
Il primo che diede un’interpretazione scientifica alla stella riportata da Matteo (che parla di una stella comune e non di una cometa) fu Origene, teologo alessandrino del III sec. d. C. Presumibilmente la leggenda della “cometa di Natale” nacque alcuni anni dopo, nell’ottobre del 12 d. C., quando effettivamente la cometa di Halley transitò nei cieli della Palestina. La nascita di Gesù si presentò come scompiglio dell’ordine immutabile ed eterno, e tale disordine è ben rappresentato nel presepe: un re che nasce povero, una stalla che splende di luce, gli innocenti che vengono uccisi. La stella diviene allora il simbolo di un incontro tra opposti, di conciliazione tra ordine e disordine.
La presenza di una stella è attestata fin dall'Antico Testamento, nelle profezie di Balaam “una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Num. 24,17), quale simbolo della venuta del Messia: ma in nessun testo è citata la “cometa” con la sua lunga coda luminosa, e nemmeno nelle più antiche raffigurazioni in nostro possesso dell’Adorazione l’astro appare come siamo abituati a pensarlo. L’esegesi antica riconosceva nella stella il simbolo di un angelo, manifestazione visibile dell’annuncio divino, e prima del XIV secolo in nessun affresco o dipinto dedicato alla Natività o alla venuta dei Magi compariva la tanto amata stella cometa.
Fu Giotto ad inserirla per la prima volta, con la sua scia luminosa e il suo colore vivido, in una scena dedicata all'Adorazione: più precisamente nell'Adorazione dei Magi della Cappella degli Scrovegni, a Padova. Nel dipingere questo affresco, inserito nel più ampio ciclo delle Storie di Gesù, Giotto fu estremamente rivoluzionario, abbandonando le tradizioni medievali e il simbolismo astrologico vigente e trasformando la sua personale interpretazione della scena in un modello per numerosi artisti che verranno. Secondo alcuni quella stella sarebbe proprio la cometa di Halley.
Angeli
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- Ultima modifica il Domenica, 18 Dicembre 2022 20:10
3 - Angeli
Sono gli angeli ad annunciare al mondo, il lieto evento della nascita del Salvatore. Lo fanno attraverso l’annuncio ai pastori, figure ritenute umili, semplici e senza complicazioni. Sono immagini della nostra ricerca di protezione, sicurezza e amicizia, vitalità e amore.
Nelle religioni antiche gli angeli sono emissari divini inviati per istruire, comunicare informazioni o impartire ordini agli uomini. Un angelo può avere inoltre funzione di custode, di guerriero celeste e anche di forza cosmica.
Nell’ebraismo emergono le figure principali di Michele, Gabriele e Raffaele, i tre arcangeli. Michele, “chi è come Dio?”, si affaccia nel libro del profeta Daniele. In questo testo si legge che, alla fine, “sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del popolo di Dio”. Gabriele, “uomo forte”, appare anch’egli nel libro di Daniele: è l’angelo destinato a interpretare le visioni, i cui contorni sono piuttosto oscuri. Raffaele, “Dio guarisce”, appare nel libro di Tobia, come guaritore.
Gli angeli costituiscono una parte molto importante nell’islam. Sono i messaggeri di Dio. Tra di essi l’angelo Gabriele, il messaggero che dettò il Corano al Profeta.
La Sacra Famiglia
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- Ultima modifica il Domenica, 18 Dicembre 2022 20:12
La Sacra Famiglia
La Sacra Famiglia indossa abiti poveri, rovinati, persino sporchi. Maria e Giuseppe vivono una condizione di urgenza ed emergenza, per via del parto imminente e dell’assenza di un luogo idoneo in cui dare alla luce il piccolo Gesù. Loro tre rappresentano la povertà e l’umiltà, ma anche la forza e la purezza di spirito di chi non si arrende. Sono il simbolo che incarna tutti i valori della famiglia cristiana.
Maria, Gesù e Giuseppe occupano la grotta di mezzo. La Madonna è vestita di rosa e porta un mantello azzurro, essere trovata sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, nei quali il blu è considerato un colore celeste e rappresenta la fede e la lealtà. Il mare con la sua distanza e profondità illimitate è anche associato al blu. Così il colore blu collega il celeste con il terreno. San Giuseppe in viola e giallo.
Maria è simbolo di genuinità e purezza, una madre semplice, piena di delicatezza. Nel presepe napoletano viene solitamente rappresentata in ginocchio con le mani giunte in preghiera, per simboleggiare lo stupore e l’accoglienza per la nascita del figlio di Dio.
Questa posizione non è l’atteggiamento tipico di una madre, bensì di una serva che accetta la volontà divina.
Fino al XIV secolo però, la Madonna veniva rappresentata, invece, sdraiata accanto al figlio come una comune donna dopo il parto.
La dottrina cristiana afferma che il vero padre di Gesù è Dio. Maria lo concepì miracolosamente, senza aver giaciuto con alcuno, per intervento dello Spirito Santo. Giuseppe, inizialmente deciso a ripudiarla in segreto, ebbe l’epifania di quanto era accaduto da un angelo venutogli in sogno ed accettò di sposarla e di riconoscere legalmente Gesù come proprio figlio.
Giuseppe è, dunque, simbolo di umiltà, lavoratore e responsabile della famiglia, assiste moralmente la sposa, accudisce il figlio e si inchina alla volontà di Dio.
La nascita di Gesù
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- Ultima modifica il Domenica, 18 Dicembre 2022 20:12
1 - Introduzione
La nascita di Gesù
Ciò che sappiamo sulla nascita di Gesù si basa sui vangeli di Luca (1:26-2:52) e Matteo (1:18-2:23), oltre che sul protovangelo di Giacomo, sul vangelo arabo dell’infanzia e sul vangelo dell’infanzia di Matteo da cui emergono indizi che possono darci qualche informazione sul vero anno di nascita.
La tradizionale datazione della nascita nell’anno 1 a.C. (l’anno zero non è mai esistito) è probabilmente frutto di un errore compiuto nel VI secolo dal monaco Dionigi il piccolo; oggi la maggior parte degli studiosi colloca la nascita di Gesù tra il 7 e il 6 a.C. perché i Vangeli parlano di Erode il Grande come re in Israele al tempo della nascita di Gesù che però sappiamo che in realtà è morto già nel 4 a.C.
Dionigi, monaco nativo della Scizia, ma vissuto lungamente a Roma (m. 526) è noto soprattutto per aver introdotto l'era "cristiana" o "volgare" nel computo degli anni (secondo il suo errato calcolo Gesù sarebbe nato il 25 dicembre dell'anno di Roma 753, mentre si tratterebbe in realtà del 749). Egli introdusse l'usanza di contare gli anni ab incarnatione Domini nostri Jesu Christi ("dall'incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo"), mentre, ai suoi tempi, l'anno iniziale del calendario veniva stabilito con l'inizio dell'impero di Diocleziano ovvero il 285 d.C.
I Vangeli non dicono nulla in merito al giorno della nascita di Cristo ed anche la Chiesa primitiva non la celebrava; infatti, fino all’inizio del IV secolo la nascita del Salvatore era festeggiata il 6 gennaio (data ancora oggi utilizzata dai cattolici ortodossi di rito orientale che non riconoscono il calendario gregoriano).
La storia della nascita di Gesù inizia nel Vangelo di Luca con l’imperatore Augusto che chiede un censimento. Per questo motivo, Giuseppe parte per il viaggio di 150 chilometri da Nazareth a Betlemme con Maria, incinta. Ma se effettivamente Augusto indisse un censimento nell’8 a.C., purtroppo questo era per i cittadini romani e quindi non interessava Giuseppe.
Quando Maria e Giuseppe arrivano a Betlemme, luogo dove secondo la Bibbia nasce il Messia, lei dà alla luce suo figlio. Il neonato, dentro la capanna viene avvolto e messo in una mangiatoia con paglia pulita (secondo Luca) o in una grotta (secondo il protovangelo di Giacomo). Da qui il presupposto che Gesù sia nato in una stalla. Nel Vangelo di Luca si legge: "E c'erano pastori nella stessa regione, che stavano in campo aperto e vegliavano di notte sul loro gregge" (Lc 2,8). Anche questo suggerisce un compleanno in una stagione più calda, perché in pieno inverno non ci sono greggi di pecore nei campi intorno a Betlemme. In questo periodo dell'anno non c'è erba nei campi e gli animali sono tenuti in una stalla.
Nel calendario giuliano il 25 dicembre, giorno del solstizio d’inverno, era considerato come la nascita del sole. Identificato con vari nomi da tutte le culture del mondo antico (Horus, Osiris, Apollo, Mitra, etc.), il “sol invictus”, il sole invincibile, lotta contro le tenebre uscendone vittorioso. Nel calendario romano, il 25 dicembre era una data era molto speciale ed anche i Saturnali cadevano in questo periodo in dicembre.
I Padri della Chiesa, avendo constatato che anche i cristiani partecipavano ai festeggiamenti per la nascita del sole il 25 dicembre, decisero che quello doveva essere il giorno per solennizzare la Natività.
L'istituzione formale della festa liturgica del Natale come ricorrenza della nascita di Gesù, e la sua collocazione al 25 dicembre è documentata a Roma dal 336 d.C. sulla base del Cronografo del 354 redatto da Furio Dionisio Filocalo. Pur non entrando in contrasto con le decisioni prese, S. Agostino allude, però, all’origine pagana del Natale, quando in un suo sermone esorta i fratelli cristiani a non celebrare, in quel giorno solenne, il sole, ma Colui che il sole aveva creato.
La natività
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- Ultima modifica il Domenica, 18 Dicembre 2022 20:11
2 - La Natività
I primi a descrivere la Natività furono gli evangelisti Luca e Matteo: nel loro racconto c’è l’immagine di quello che poi nel Medioevo è diventato il "praesepium", prae (innanzi) e saepes (recinto) “mangiatoia”.
Il presepe nasconde tutto un mondo di significati simbolici e rituali, a volte strani e un po’ misteriosi, provenienti in parte dal racconto dei Vangeli sinottici e dagli Apocrifi ed in parte da origini pre-cristiane e pagane che si perdono nella notte dei tempi, si nasconde nei personaggi e nei luoghi che animano il presepe. Riscoprire quei significati vuol dire riportare alla luce l’essenza più profonda dell’esistenza umana con tutte le sue contraddizioni e ambivalenze.
Sono innumerevoli i simboli nascosti nel presepe che rappresentano il cammino terreno dell’uomo dal sonno al risveglio, dall’ignoranza alla conoscenza, dalla morte alla rinascita, dalle tenebre alla luce. Tutta la simbologia in esso presente può essere analizzata in base ad approcci diversi: il mito (relitto culturale di riti ancestrali di cui si è persa ogni traccia), la tradizione (presenza di temi, motivi, credenze dell’immaginario popolare), il simbolo (presenza di significati e valori sotto forma di allegoria).
Il presepe che tutti conosciamo, però, si deve alla volontà di San Francesco d’Assisi. L’idea di far rivivere in uno scenario naturale la nascita di Gesù Bambino, era venuta al Santo d’Assisi nel Natale del 1222, quando a Betlemme ebbe modo di assistere alle funzioni per la nascita di Gesù. Francesco rimase talmente colpito che, tornato in Italia, chiese a Papa Onorio III di poter ripetere le celebrazioni per il Natale successivo. A quei tempi le rappresentazioni sacre non potevano tenersi in chiesa, così il Papa gli permise di celebrare una messa all’aperto. Fu così che, la notte della Vigilia di Natale del 1223, a Greccio, in Umbria, San Francesco allestì il primo presepe vivente della storia: i frati con le fiaccole illuminavano il paesaggio notturno e all’interno di una grotta fu allestita una mangiatoia riempita di paglia con accanto il bue e l’asinello, ma senza la Sacra Famiglia. La neve di Greccio si è trasferita nel presepe attuale.
Il primo presepe con tutti i personaggi risale, invece, al 1283, per opera di Arnolfo di Cambio, scultore di otto statuine lignee che rappresentavano la Natività e i Re Magi. Questo presepio è, oggi, conservato nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Da quel momento la consuetudine di allestire presepi nelle chiese iniziò a diffondersi rapidamente in tutto il Regno di Napoli.
Intorno al 1500 nacque la cultura del presepe popolare grazie a S. Gaetano di Thiene il quale diede un decisivo impulso all’ammissione sul presepe anche di personaggi secondari fino a raggiungere l’apice nel 1700: il presepe napoletano che oggi realizziamo in prossimità delle feste natalizie è ambientato proprio in questo periodo. In questa rappresentazione Paradiso e Inferno, Bene e Male, Pagano e Cristiano coesistono. Ogni singola statuina, ogni singolo decoro, ogni luogo nascondono una simbologia, un significato ben preciso che va oltre la semplice raffigurazione della Natività.
Il paesaggio è montuoso e pieno di sentieri tortuosi, disseminati di pastori che scendono verso la grotta, sempre situata in basso e in primo piano. Questo perché bisogna scendere nelle tenebre (i sentieri tortuosi) prima di raggiungere la luce, cioè la rinascita rappresentata da Gesù Bambino. Come già accennato. il paesaggio del Presepe napoletano riveste un ruolo simbolico non meno importante di quello dei personaggi del Presepe stesso. Si tratta di un paesaggio costituito da tre montagne che custodiscono tre grotte.
Nessuno dei Vangeli canonici parla espressamente di una grotta o di una stalla ove Maria avrebbe dato alla luce il Messia. Nell’unica citazione di Luca 2,7 (“in una mangiatoia perché non c’era posto per essi nell’albergo”) non c’è neppure traccia del bue e che avrebbe indicato con i suoi muggiti l’esistenza della stalla e dell’asino che accompagnò Giuseppe e Maria durante il loro viaggio. I due animali sono presenti solamente nel vangelo apocrifo dello pseudo Matteo che colloca la nascita in una stalla. Tale tradizione sarà poi soppiantata nel IV secolo, con l’accettare come luogo di nascita la grotta. Essa è posta al centro della scena, nella parte più bassa, a volte con altre laterali di proporzioni più ridotte nelle quali trovano posto i pastori con le greggi, i fuochi, gli animali da cortile. Sentieri impervi conducono dalle montagne alla grotta, simbolo materno per eccellenza e luogo della nascita miracolosa. È un viaggio dall’alto verso il basso, verso le viscere della terra, il sotterraneo, per poter assistere, dopo aver vinto le angosce della discesa al buio, al trionfo della luce sulle tenebre, alla rinascita della natura sull’inverno. La grotta si configura come un confine tra luce e tenebre, ma anche come luogo di ingresso agli inferi ed al mistero della morte.
La Sacra Famiglia
La Sacra Famiglia indossa abiti poveri, rovinati, persino sporchi. Maria e Giuseppe vivono una condizione di urgenza ed emergenza, per via del parto imminente e dell’assenza di un luogo idoneo in cui dare alla luce il piccolo Gesù. Loro tre rappresentano la povertà e l’umiltà, ma anche la forza e la purezza di spirito di chi non si arrende. Sono il simbolo che incarna tutti i valori della famiglia cristiana.
Maria, Gesù e Giuseppe occupano la grotta di mezzo. La Madonna è vestita di rosa e porta un mantello azzurro, essere trovata sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, nei quali il blu è considerato un colore celeste e rappresenta la fede e la lealtà. Il mare con la sua distanza e profondità illimitate è anche associato al blu. Così il colore blu collega il celeste con il terreno. San Giuseppe in viola e giallo.
Maria è simbolo di genuinità e purezza, una madre semplice, piena di delicatezza. Nel presepe napoletano viene solitamente rappresentata in ginocchio con le mani giunte in preghiera, per simboleggiare lo stupore e l’accoglienza per la nascita del figlio di Dio.
Questa posizione non è l’atteggiamento tipico di una madre, bensì di una serva che accetta la volontà divina.
Fino al XIV secolo però, la Madonna veniva rappresentata, invece, sdraiata accanto al figlio come una comune donna dopo il parto.
La dottrina cristiana afferma che il vero padre di Gesù è Dio. Maria lo concepì miracolosamente, senza aver giaciuto con alcuno, per intervento dello Spirito Santo. Giuseppe, inizialmente deciso a ripudiarla in segreto, ebbe l’epifania di quanto era accaduto da un angelo venutogli in sogno ed accettò di sposarla e di riconoscere legalmente Gesù come proprio figlio.
Giuseppe è, dunque, simbolo di umiltà, lavoratore e responsabile della famiglia, assiste moralmente la sposa, accudisce il figlio e si inchina alla volontà di Dio.
Il bue e l’asinello, simboli immancabili in ogni presepe, sono presenti solamente nel vangelo apocrifo dell’infanzia di Matteo (probabilmente derivato dal protovangelo di Giacomo), secondo cui a Betlemme Maria partorisce il bambino in una grotta, poi il terzo giorno si trasferiscono in una stalla dove sono presenti l'asino e il bue. Questi due personaggi, diventati elemento ricorrente delle rappresentazioni artistiche della natività che derivano probabilmente da Is1,3, ma nessun'altra fonte ne parla. Infatti Isaia scrive: “il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende” (Is. 1,3). Sebbene Isaia non si riferisse alla nascita del Cristo, l’immagine dei due animali venne utilizzata comunque dai primi scrittori cristiani come simbolo degli ebrei (rappresentati dal bue) e dei pagani (rappresentati dall’asino).
Il bue e l'asino sono stati parte integrante dei presepi figurativi sin dai primi tempi del cristianesimo. E questo sebbene i due animali, nonostante la menzionata mangiatoia, non compaiano nel Vangelo di Luca. Isaia 1: 3 dice "Il bue conosce il suo proprietario e l'asino la mangiatoia del suo padrone". Gli animali apparentemente stupidi sono più intelligenti degli umani e con l'ebraismo e l'Islam simboleggiano due fedi.
Altre interpretazioni descrivono il bue come "puro" e un simbolo del cristianesimo e l'asino come "impuro" e l'incarnazione di tutti i popoli pagani/non religiosi.
Entrambi gli animali sono cosiddetti animali da soma e hanno lo scopo di chiarire che anche Gesù si fece carico dei fardelli dei suoi simili.
In generale potrebbero rappresentare simbolicamente il Bene (bue) e il Male (asino), due forze che, con il loro equilibrio, mantengono l’ordine del mondo. Non sono due forze in contrasto, ma bilanciate fra di loro danno ordine al mondo intero: rappresentano l’equilibrio perfetto.
Il bue e l’asino simboleggiano gli istinti e le pulsioni dell’essere umano. Essi sono doni di Dio, e come tali vanno ascoltati per comprendere sé stessi e la natura che ci circonda; tornando alla simbologia, il bue e l’asinello – istinti e pulsioni – riscaldano il piccolo bambino Gesù, che è lo spirito.
La Legenda aurea vede nel bue e nell’asino i rappresentanti di tutta la creazione, che prende parte alla redenzione. Lo esprimono molte leggende. Per alcune nella notte santa fioriscono le rose. Per altre la foresta si muta in un giardino pieno di fiori.
MERCATINI DI NATALE 2022
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- Ultima modifica il Martedì, 10 Gennaio 2023 14:38
Anche quest'anno il Mercatino natalizio ha visto una grande partecipazione di alunni, docenti e genitori, impegnati al massimo per raggiungere uno scopo comune e solidale!